(il tempo ci sfugge) n.7

febbraio 17, 2015

Ci sono, naturalmente, cose
che non possono dirsi.
Deflagrazioni il cui rumore si è estinto
da centomila anni nello spazio profondo
luccicano ancora intermittenti
in certe notti:

le catastrofi permangono
permangono le lucine dell’ospedade
sul fianco della collina
del cimitero sotto la finestra
della mia casa, permango io
in piedi al davanzale, svestita
o in lacrime, ancora così commossa
o già perduta. Restano le stelle.

La cosa migliore che potesse accaderci:
noi non ci siamo mai disincarnati,
tutti quelli che amo sono ancora in vita.

(Poiché è permesso consolarsi soltanto
con le cose molto molto grandi.)

La poesia che aveva perso il ragazzo
era scritta sopra un foglio di quaderno
ripiegato quattro volte
nella tasca del mio portafoglio.

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