(il tempo ci sfugge) n.7

febbraio 17, 2015

Ci sono, naturalmente, cose
che non possono dirsi.
Deflagrazioni il cui rumore si è estinto
da centomila anni nello spazio profondo
luccicano ancora intermittenti
in certe notti:

le catastrofi permangono
permangono le lucine dell’ospedade
sul fianco della collina
del cimitero sotto la finestra
della mia casa, permango io
in piedi al davanzale, svestita
o in lacrime, ancora così commossa
o già perduta. Restano le stelle.

La cosa migliore che potesse accaderci:
noi non ci siamo mai disincarnati,
tutti quelli che amo sono ancora in vita.

(Poiché è permesso consolarsi solamente
con le cose molto molto grandi.)

La poesia che aveva perso il ragazzo
era scritta sopra un foglio di quaderno
ripiegato quattro volte
nella tasca del mio portafoglio.

Soltanto: poter comprare sempre tutti il libri
con dentro le poesie
che non ho letto, e soprattutto
quelle che ho letto, una volta
delle quali non ricordo che la fine, ma ricordo
che erano importanti.
E poi, poter sempre
lavorare di notte fino all’alba
ogni notte e dopo
non mettere la sveglia
e soprattutto
saper saltare sempre con successo
oltre il precipizio
dei primi tre minuti
del mattino: essere in salvo
e non guardare in basso. E poi,
anche, che tutto questo fumare
non faccia troppi danni,
che non muoia nessuno,
nemmeno io, e soprattutto
non tu, non prima
di avermi telefonato
di nuovo.

gennaio 6, 2015

Con la disciplina combattiamo
il panico dell’ora del sonno
l’ultima fine del giorno.

Iniziamo, discplinati, i passi
più neutri: lavare i piatti, i denti
spiegnere le luci in cucina

con la disciplina, ci  traghettiamo
verso il buco, il risucchio
delle ore e le albe
premature – guardando altrove

perfino quando: il freddo
non abbandona i muri, o la febbre
il mio corpo i cui sintomi
sarebbero del tutto identici se tu
potessi almeno
sentirmi
la fronte
invece lavo i piatti
i denti
come coi bambini dal dottore:
cerco di distrarmi.

Dopo è giorno, lo strappo
di un cerotto l’atto di coraggio
– durerà solo un secondo e poi

andrà tutto liscio, promesso,
fino a sera.

dicembre 13, 2014

E poi: siamo eroici e onesti e c’è qualcosa di commovente nella nostra perseveranza, nel restarci fedeli, nel non negarci mai, nemmeno in sogno, l’evidenza dei fatti (dei desideri più cupi), nell’ammettere, sempre e ancora una volta, l’inammissibile. Le ferite sempre meno estetizzanti, gli avversari inadeguati, le spalle contro al muro umido di una traversa buia di via del Pigneto (nonostante io sappia più cose, nonostante io sia più sveglia o forse proprio per questo), “una violazione così sfacciata”, senza smettere di fumare, di sorridere, di sperare e aspettarmi dell’altro (fino a chiederlo, forse, in una voce gelida che non mi riconosco), senza esitare.

Ma quando avremo esaurito le possibilità della violenza, percorso tutte le strade costeggiando un confine, un limite che ci racconta fin dove è lecito condurci, fin dove è innoquo (o non letale) spingerci, quando saremo sazi o finalmente stanchi, e diremo basta così, basta così, a quel punto quanto tempo ci resterà per il resto, per il fuoco per il quale ci alleniamo, per la luce a cui vorremmo, con tanta innocenza, consegnarci?

D’altra parte, non è detto che si finisca per stancarsi; non è detto che un altro fuoco esista.

(tell me the truth) n.23

dicembre 8, 2014

Azzardo una spiegazione:
scrivere è l’ultima risorsa quando abbiamo tradito.
Jean Genet

(ennet house) n.19

novembre 28, 2014

Cattura

(afasia) n.14

novembre 27, 2014

Rorschach10

(il tempo ci sfugge) n.6

novembre 27, 2014

Avevi ragione tu, eravamo in guerra e
tutti quanti avevano una maschera e faceva
paura come un incubo e niente
si capiva.

Ero troppo piccola per comprendere il terrore
– nelle braccia, stretta nelle braccia
presa nelle braccia di un amore – ero
troppo piccola quando dissi soltanto: sono
tua alleata, e non ho mai mentito.

Ma io non potevo capire e i tuoi incubi
avevano ragione – forse non proprio
ragione, ma il verso di percorrenza non è
che un dettaglio: da che parte sta
l’impugnatura del coltello – e ricordo
soltanto la paura e il senso
di impotenza, un certo scetticismo.

Dissi soltanto: non ho mai mentito, è solo
un sogno, non è successo niente.
Tu forse lo sapevi, forse
avresti dovuto saperlo, dirmi (e non l’hai fatto):
da qualche parte, tra dove finisci
tu e dove comincio, c’è un coltello
e un coltello è un coltello e noi siamo
alleati, ma per quanto.

(aruspicina) n.4

novembre 7, 2014

Framed-Thinking

Potrebbero dire: non si può dire
che non abbia combattuto
la sua guerra.

(oggi che firma il suo consenso
perché un dottore le tolga la voce
e un altro
i ganci dai denti)

dicono che starà bene
certo che starà bene, alla fine
non ricorderà
di essere mai stata meglio.

faremo a meno delle medicine
se possiamo
– limiteremo al minimo
le operazioni, se necessario
l’addormenteremo –
e lei sorride quando giurano che presto
sorriderà di nuovo
e loro dicono:

nelle cantine
dove la sua voce fermenta
faremo entrare l’aria
disinfetteremo le celle
dove intratteneva i suoi amanti,
i loro fantasmi.

(oggi che finalmente
dice: qualsiasi cosa fosse
strappatemela, io non la voglio
e poi, sottovoce: dite che perderò
così tanto? e poi, infine, il dolore
dell’anestesia, come un tradimento)

Potrebbero dire: lo sappiamo
cos’aveva in ballo
– chi di noi può dire
che non avrebbe ucciso
per quel regno? –
e che le lame erano sempre benedette
e la voce di quell’uomo
– quando soffiava ingannevole
dalle sue iridi segregate, musica
e canto di cento sirene
armate; quando, sopra di lei, molto
sopra di lei
duecentomila piani
di realtà
sopra le sue cantine
buie (lui) portava al guinzaglio la sua voce
(quella vera), in un posto migliore
strillava
incautamente
senza badarle; e nonostante questo
non intendeva ferirla –
l’ha sempre difesa e ora quella voce
(una pausa lunghissima)
però ditelo che ha combattuto
e che ha sempre tenuto i mostri
fuori dai posti sacri.

Dicono anche: ma non c’è verso
che lei sopravviva a un altro inverno
non in preda a questo:
la ragazza è ammalata e ha perso
la sua guerra; si dichiara pronta a gettare le armi.
Che sia amnesia, allora, che sia resa
e riposino
in cima agli armadi
i trofei, i pegni
tutti gli arti fantasma.

(afasia) n.13

ottobre 21, 2014

kauerndes-maedchen